Polpo 09 Il Destino

Il Destino

(Patricia, Annalisa, Michele, Emilio, Chiara)

La nave scivolava tranquillamente sulle acque del Mediterraneo sotto il cielo stellato di una calda notte di giugno. Nelle cabine l’equipaggio dormiva cullato dalle vibrazioni, dal rombo dei motori e dal dolce ondeggiare dell’imbarcazione. All’alba, il fischietto avrebbe indicato il momento di entrare in servizio per i preparativi allo sbarco. Alain invece era rimasto sveglio a rigirarsi nello stretto lettino, anche se negli anni di navigazione si era abituato a qualsiasi movimento senza essere minimamente disturbato. Le giornate di lavoro erano sempre intense, quindi la fatica era stata il miglior sonnifero per resistere alle tempeste e ai venti che, in mezzo agli oceani, facevano dondolare la nave in tutte le direzioni come se fosse una maraca. Durante quella notte i ricordi della sua famiglia e dell’antico villaggio sperduto della Provenza, dove aveva vissuto prima della Grande Guerra, avevano fatto piroette nella mente del ragazzo impedendogli di addormentarsi. Era la prima volta, da quando aveva iniziato a lavorare come fabbro dell’equipaggio, che entrava nelle acque calme di quel mare. Lo stesso che aveva visto tante volte dalla finestra della cucina di casa profumata con l’aroma della legna dei fornelli e della buona cucina di sua madre.

Quel giorno sarebbero sbarcati a Marsiglia. Forse questa cosa turbava particolarmente Alain perché ci stava tornando proprio in quella data. Quel maledetto giorno di giugno, di dieci anni prima, che gli cambiò completamente la vita. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi a vivere in una gigantesca casa di ferro galleggiante. Mai avrebbe pensato che da ingegnere con una carriera ormai avanzata, si sarebbe ritrovato a fare il fabbro e a passare le notti su un’insulsa brandina puzzolente, abbandonando il morbido letto, con lenzuola profumate di pulito, che condivideva con Marina.

Marina, ecco un altro dei ricordi che martellavano la sua mente. Alain si chiedeva dove sarebbero ora lui e Marina se quel giorno non fosse successo l’irreparabile. Il libro dei ricordi si stava riaprendo, forse non era mai stato chiuso, era solo accostato, come finestre in un mattino di primavera, per non fare entrare l’umidità, ma che vengono spalancate con la prima brezza di vento. Marina era entrata nella sua vita senza bussare. Si erano conosciuti alla École polytechnique a Paris-Saclay. All’epoca le donne che si avvicinavano agli studi ingegneristici erano davvero poche. Lei era una di queste poche. Affascinante, intelligente, umile. Tre meravigliose caratteristiche in una donna magnifica. Poi il corteggiamento, il fidanzamento, il matrimonio appena dopo la laurea. Il lavoro che decollò e permise loro di passare dalla piccola casetta di periferia, il loro nido d’amore, ad un bell’appartamento davanti al porto di Marsiglia. Pochi mesi dopo, l’attesa del loro primo bimbo. Gli sembrava ieri, tutte le notti sembravano ieri. Quel fatidico giorno Alain passeggiava nervosamente fuori dalla stanza, non faceva tempo a finire una sigaretta che accendeva la successiva con il mozzicone della precedente. Un via vai di donne in casa insieme alla levatrice. Il parto era difficile, il bimbo non era in posizione, poi l’emorragia.

Da allora Alain si svegliava, ogni notte, in questo esatto punto, nella speranza che fosse solo un sogno, lo stesso identico che si ripeteva da quando era uscito dalla realtà. Alain non sopportò l’ipotesi di perdere il figlio. Si sentì morire di tristezza. Prima che la levatrice annunciasse quello che non voleva sentirsi dire, prese la stupida decisione di andare via il più lontano possibile. Era come se avesse pensato che il problema si sarebbe risolto con la distanza. Abbandonò Marina quando lei aveva più bisogno di lui. Si diresse al porto e salì sul primo transatlantico che stava per partire e non tornò più. Lui se ne era andato per lasciarsi tutto alle spalle, ma il dolore ed il rimorso gli gravavano sopra come un macigno da allora. Qualche settimana dopo, l’ironia della vita, lo fece “sposare” un’altra marina, quella civile, con la grande flotta di navi che si occupava del trasporto merci attraverso gli oceani del mondo. Il destino volle che non potesse più tornare perché ebbe inizio la Grande Guerra. Se fosse tornato l’avrebbero inviato a servire al fronte occidentale.

E di nuovo il destino decise di farlo tornare al porto di partenza, lo stesso giorno in cui aveva abbandonato la sua amata moglie. Sapendo che Marina non l’avrebbe mai perdonato, avvisò solo sua madre del ritorno. Siccome Alain non ebbe mai una dimora fissa, la madre non poté rispondere alle lettere che lui le inviava ogni volta che arrivava al porto.

Con le prime luci dell’alba, la nave attraccò al porto di Marsiglia. Alain scese sulla terra ferma sentendo come se le onde gli fossero rimaste chiuse dentro tra sensazioni di squilibrio e dondolio. Sulla parte destra della banchina vide sua madre che l’aspettava, ma non era sola, teneva per mano una bambina di circa dieci anni che somigliava molto a Marina. Si avvicinarono e abbracciò la madre con commozione.

—Madre! Ti chiedo perdono!

La madre si allontanò da lui e lo guardò dritto agli occhi.

—Alain, lei è tua figlia, si chiama Marina. —disse l’anziana signora con tono severo— Sua madre si sacrificò per salvarle la vita —aggiunse.

All’improvviso, la fanciulla interruppe la conversazione lanciandosi in lacrime alle braccia del padre.

—Non vedevo l’ora di conoscerti, papà!

Era scappato. Un codardo. Come poteva quella bambina così innocentemente provare felicità nel vederlo, invece di repulsione e odio? Cos’aveva lui da offrire a quella creatura così bella? Dentro di lui un turbinio di emozioni lo avevano imbalsamato, stava lì, rigido come un palo come se nulla potesse minimamente scalfirlo. Ma qualcosa successe nel momento in cui la bambina gli si avvicinò e gli prese la mano: si inginocchiò davanti a lei, e tutte le lacrime che non sapeva di avere trattenuto, furono tempesta. Singhiozzava e piangeva, senza più fermarsi.

La madre gli disse che secondo le ultime volontà di Marina nessuno avrebbe dovuto parlargli della bambina se non al suo ritorno, se mai fosse tornato. Lei lo aveva capito, come sempre, e aveva rispettato il suo dolore, lo aveva perdonato e gli aveva permesso col tempo di redimersi.

La bambina, lo abbracciò e gli sussurrò in un orecchio

—Non piangere, papà. Sei a casa, adesso.